ℛecensione
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Scoprire Accabadora grazie a un'amica di mia nonna quest'estate è stata la cosa più bella che potesse capitarmi. È un libro molto particolare, ad iniziare dallo stile di Michela Murgia. La sua prosa è ben curata, attenta, colorata, profumata. Leggendo A. ho avuto come l'impressione che ogni termine fosse stato scelto attentamente dall'autrice per trasmettere una precisa sensazione e emozione, un preciso messaggio. È un volumetto cortissimo (163 pagine) che, per la ragione di cui poche righe sopra, a mio parere, non si lascia leggere velocemente. Impone un ritmo di lettura lento. Nonostante sia scritto con uno stile molto scorevole più volte durante la lettura ho sentito il bisogno di rallentare, come se, per apprezzare l'opera, si rendesse necessario un maggiore sforzo di attenzione. Una maggior pacatezza. Come se comprendere bene il perchè di ciascuna parola fosse necessario ad afferrare il messaggio che l'autrice vuole trasmettere. Un po' come quando si legge una poesia e perdere una delle parole di cui si compone potrebbe compromettere l'esperienza di lettura stessa, perchè ne intaccherebbe il messaggio. Le parole sono incatenate l'una all'altra. Un'altra cosa che mi ha affascinata sin da subito è la sinergia che si viene a creare tra la trama e la tradizione sarda. Michela Murgia incastona nella trama elementi della tradizione sarda in maniera assolutamente naturale (la storia dei dolcetti, l'usanza della cena delle anime, i rituali per guarire dal morso dell'argia), senza interrompere il racconto degli eventi principali nè spezzare il ritmo della narrazione. Una delle tematiche principali di A. è proprio l'eutanasia (e la morte), introdotta dalla figura dell'accabadora, l'ultima madre.
... Anche io avevo la mia parte da fare, e l'ho fatta.
-E quale parte era?
-L'ultima. Io sono stata l'ultima madre cha alcuni hanno visto.
-Ti ho picchiato perchè mi hai detto una bugia. Le mandorle si ricomprano, ma alla bugia non c'è rimedio. Ogni volta che apri bocca per parlare, ricordati che è con la parola che Dio ha creato il mondo.Ho apprezzato tanto il rapporto che si crea tra le due protagoniste. Tzia Bonaria è una donna molto intelligente ed enigmatica, e cerca di trasmettere, con tutte le sue forze, a Maria, abituata a valere meno che nulla, ciò che la vita le ha insegnato. Come ad esempio che è bene dotarsi di "armi" valide nella vita per non rimanerne schiacciati. È stato bello vedere crescere la piccola Maria e soprattutto vederla acquistare spessore e indipendenza. E a tal proposito A. ha anche un po' del romanzo di formazione. Voglio spendere un paio di paroline anche per il finale, che ho trovato perfetto, pur se un filino ambiguo, sospeso. Solitamente non apprezzo i finali che non danno una conclusione ben precisa alle vicende ma in questo caso l'ho trovato pienamente calzante e adeguato. È un po' come se l'autrice in realtà non volesse dare un'opinione definitiva sul tema dell'eutanasia. Io l'ho interpretato come una sorta di sospensione di giudizio da parte di Michela Murgia. E questa cosa mi è proprio piaciuta. Proprio perchè per tematiche serie come questa non esiste giusto o sbagliato, non esistono pareri definitivi. O perlomeno non si dovrebbe avere la presunzione di esprimerne. Superconsigliato!
QUATTRO STELLINE
CHE NE DITE? VOI L'AVETE LETTO?
UN BACIO ♡
Ho incontrato la Murgia un anno fa con Chirù, che però ho apprezzato poco. Mi spiego meglio: ho apprezzato poco la trama e i personaggi, mentre mi è piaciuto molto lo stile dell'autrice. Elegante, curato e pacato :)
RispondiEliminaLo stile è proprio uno degli elementi che mi ha fatto adorare questo libro :)
EliminaMerita tantissimo :)
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